Press Reviews
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Kleine Zeitung I Ingrid Türk-Chlapek | 29 July 2013
Atemberaubendes Amazonen-Trio
"wozzeck_woyzeck_reloaded" als Uraufführung des netzwerk aks im Stift Millstatt.
Bis zur totalen Erschöpfung wirbeln die drei Frauen. Voller Schmerz und ohnmächtigem Aufbegehren drehen sie sich um die eigene Achse, knicken ein, schreien, bäumen sich auf und brechen schließlich zusammen, tot wie Wozzecks erstochene Marie.
Ausgehend von Georg Büchners Dramenfragment "Woyzeck" und in engem Bezug zu Alban Bergs Oper "Wozzeck" entwickelt die Choreografin Andrea K. Schlehwein und das "netzwerk aks" ihre Sichtweise auf die tragische Geschichte über Abhängigkeit, soziale Benachteiligung und Gewalt. Und, soviel sei vorweg gesagt: Trotz der projizierten Regieanweisungen aus Bergs Libretto, der Mordszene als Schattentheater und dem Hochhalten von beschrifteten Pappschildern mit "Marie" und "Wozzeck" funktioniert das Stück dort am besten, wo es sich von der Textvorlage abnabelt. Denn die drei famosen Tänzerinnen, die alle tragenden Rollen beiderlei Geschlechts verkörpern sollen, kommen als ein furioses Amazonen-Trio in unberührter Natur (Film: Markus Brandstätter) über die Bühne, das sich auch ohne männliches Pendant mit den destruktiven Beziehungsdynamiken aus Anziehung, Abstoßung, Macht, vermeintlicher Liebe und tatsächlicher Leidenschaft herumschlagen muss.
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Wie sich Unita Gay Galiluyo, Maria Mavridou und Simona Piroddi auf schlichter Bühne aus drei schwarzen Tanzbahnen und dezenten Neonröhren (Raum: Schlehwein) die ganze Bandbreite ihrer Weiblichkeit über Mäntel, Kleider oder gelbe Gummistiefel aneignen, gehört zu den absoluten Höhepunkten des sechzigminütigen Abends. Das An- und Ausziehen von Kostümteilen wird zum artistisch-magischen Akt einer vermeintlichen Selbstbestimmung, die sich in Nichts auflöst, sobald der gemütliche Pullover zum beengenden Gefängnis mutiert oder sich der dekorative Halsausschnitt in einen erstickenden Strick verwandelt. Ob als Model beim Catwalk oder als Sandlerin beim Altkleidersammeln, Textiles beflügelt Schlehwein und ihr Ensemble zu ausdrucksstarken Bildern.
Wobei die Tänzerinnen grundsätzlich der atemberaubende Schatz dieser Produktion sind. Rasant, virtuos und technisch bombensicher fegen sie in einem höchst zeitgenössischen Tanzvokabular über die Bühne, ohne ihre Individualität zu verlieren. Simona Piroddi bleibt selbst in wuchtigen Bewegungen elegant, Maria Mavridou überwältigt mit burschikoser Vitalität und Unita Gay Galiluyo verkörpert in jeder Faser den personifizierten Zorn.
blog corradocanulli I Corrado Canulli | 28 July 2013
Locandina dello spettacolo
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Difficile scrivere di Wozzeck, nuova produzione della coreografa/regista/artista visiva/sceneggiatrice (e chi più ne ha più ne metta) Andreas K. Schlehwein, ma ci provo lo stesso.
E' difficile scrivere di un suo spettacolo perché le emozioni, i pensieri non esauriscono dopo l'andata in scena, ma restano dentro di noi a decantare, come un buon vino...
Sono talmente tanti gli stimoli che offre agli occhi e alla mente che non si riesce a "digerire" tutto durante lo svolgersi dello spettacolo.
Piccolo inciso: non so quanto è durato lo spettacolo, non mi è venuta neanche voglia di guardare l'orologio...
La Schlehwein affronta la complessa e drammatica vicenda del soldato Woyzeck, realmente vissuto nel diciannovesimo secolo, diventato un'icona come rappresentante del malessere psicologico e/o psichiatrico, procedendo per immagini, come è tipico del suo teatro.
E' come se, davanti ai nostri occhi, scorresse lo storyboard che l'artista ha immaginato: in questo è aiutata dalla location in cui ha deciso di dare vita a questo Wozzeck. Siamo all'interno del bellissimo ex-convento che domina Millstatt, costeggiante l'omonimo lago, nella Stiftsaal, spazio adibito prevalentemente a mostre che Netzwerk AKS ha appena iniziato ad utilizzare anche per spettacoli "altri". Lo spazio è perfetto e sembra suggestionare anche la struttura dello spettacolo che vive delle due porte sul fondo, trasformandole in certi momenti in schermi, altre in pertugi oppure in trasparenze attraverso le quali scrutare cosa appare dietro, altrove.
Stimoli dicevo. Uno dei tanti sono le note di regia (ahimé, in tedesco) che appaiono in video sul fondale e che una mano attenta e musicale cancella via via che sono declinate dalla voce forte ed educata di Eleonore Schaefer; oppure l'apparizione nelle mani delle danzatrici delle tante scritte su cartoni di recupero che ricordano personaggi e ruoli: Marie, Wozzeck, assassino, ecc. sottolineano, suggeriscono, insinuano.
Ma la nota dominante resta, ovviamente, la danza: quella misteriosa e ambigua di Unita Galiluyo; quella enigmatica e tesa di Maria Mavridou; e quella elegante e potente di Simona Piroddi. Coautrici della parte coreografica, supervisionata e assemblata dalla Schlehwein, sottolineano tutta la potenza del dramma scritto da Buchner ricorrendo a tecniche di contact, ma anche apportando poesia nei momenti che si percepiscono come frutto di improvvisazioni poi codificate e fissate. A turno diventano Marie o Wozzeck o il Tamburmaggiore o tutti gli altri protagonisti di questa vicenda triste e pietosa che ci ricorda come anche l'amore, summa di tutti i sentimenti migliori, possa diventare forza devastante e causa scatenante dei peggiori delitti. E la cronaca attuale lo sottolinea costantemente...